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Legumi al posto della carne rossa: uno studio finlandese mostra i benefici per la salute cardiovascolare

La transizione verso diete più sostenibili e salutari è diventata una priorità globale, soprattutto considerando l'impatto ambientale e sanitario associato all'elevato consumo di carne rossa e processata. Un recente studio finlandese, il BeanMan trial, ha esplorato gli effetti di una sostituzione parziale della carne rossa con legumi non-soia in uomini adulti sani, fornendo evidenze interessanti per chi si occupa di nutrizione clinica e consulenza dietetica.

Il contesto dello studio: troppa carne, pochi legumi

In molti paesi ad alto reddito, il consumo di carne rossa e processata (RPM) supera ampiamente le raccomandazioni. In Finlandia, per esempio, gli uomini consumano in media circa 762 grammi di carne rossa a settimana, più del doppio del limite suggerito dalle raccomandazioni nordiche (350 g/settimana) e quasi quattro volte il limite della Planetary Health Diet (196 g/settimana). Al contrario, il consumo di legumi rimane sorprendentemente basso, oscillando tra 1 e 14 grammi al giorno nelle popolazioni nordiche.

Questo squilibrio alimentare ha conseguenze significative: l'aumento del consumo di carne rossa processata è stato associato a un maggior rischio di malattie cardiovascolari e di alcuni tumori, mentre un'alimentazione ricca di legumi è stata correlata a una riduzione della mortalità generale e del rischio di patologie croniche.

Il protocollo dello studio BeanMan

Lo studio ha coinvolto 102 uomini sani, con età media di 38 anni, randomizzati in due gruppi per un periodo di sei settimane. Il gruppo MEAT ha consumato 760 grammi settimanali di carne rossa e processata (corrispondenti al 25% dell'apporto proteico totale), mentre il gruppo LEGUME ha limitato il consumo di carne rossa a soli 200 grammi settimanali (5% delle proteine totali), integrando con prodotti a base di legumi (principalmente piselli e fave) equivalenti a 560 grammi di carne rossa (20% delle proteine).

L'intervento è stato attentamente progettato: i partecipanti hanno ricevuto gratuitamente gli alimenti, con consegna a domicilio o ritiro presso il centro di ricerca, e hanno compilato diari alimentari di quattro giorni per monitorare l'aderenza al protocollo. I ricercatori hanno raccolto campioni di sangue e urine delle 24 ore all'inizio e alla fine dello studio per valutare sia l'apporto nutrizionale che i biomarcatori di salute cardiovascolare e metabolica.

Risultati principali: benefici cardiovascolari e nutrizionali

Profilo lipidico migliorato

Uno dei risultati più rilevanti riguarda il profilo lipidico. Alla fine dello studio, il gruppo LEGUME ha mostrato valori significativamente più bassi di colesterolo totale e colesterolo LDL rispetto al gruppo MEAT. Durante le sei settimane, il colesterolo totale è aumentato di 0,14 mmol/L nel gruppo MEAT, mentre è diminuito di 0,25 mmol/L nel gruppo LEGUME. Analogamente, il colesterolo LDL è aumentato nel primo gruppo (+0,16 mmol/L) e diminuito nel secondo (-0,19 mmol/L).

Questi cambiamenti possono essere attribuiti principalmente alla migliore composizione lipidica della dieta nel gruppo LEGUME: maggiore apporto di acidi grassi polinsaturi e minore apporto di acidi grassi saturi. Le fibre solubili e le saponine presenti nei legumi potrebbero aver contribuito ulteriormente a questo effetto protettivo.

Riduzione del peso corporeo

Un altro dato interessante riguarda la riduzione del peso e dell'indice di massa corporea. Il gruppo LEGUME ha perso in media 1 kg durante lo studio, con una diminuzione significativa del BMI, mentre il gruppo MEAT ha mostrato una perdita più contenuta (0,3 kg, non statisticamente significativa). Questo risultato è particolarmente rilevante considerando che l'apporto energetico del gruppo LEGUME era superiore di circa 1 MJ rispetto al gruppo MEAT, suggerendo che la qualità della dieta possa influenzare il peso corporeo indipendentemente dall'apporto calorico totale.

Apporti di fibre e acidi grassi

Come prevedibile, il gruppo LEGUME ha registrato un aumento significativo dell'apporto di fibre, raggiungendo quasi il target raccomandato di 3 g/MJ. Le fibre sono aumentate sia in termini assoluti che relativi all'energia consumata. Parallelamente, l'apporto di acidi grassi polinsaturi (PUFA), inclusi gli omega-3 e omega-6, è risultato superiore nel gruppo LEGUME, mentre l'apporto di grassi saturi e colesterolo era significativamente più basso.

Micronutrienti critici: vitamina B12, iodio e ferro

Vitamina B12: attenzione allo stato nutrizionale

Uno degli aspetti più delicati emersi dallo studio riguarda la vitamina B12. Il gruppo LEGUME ha mostrato un apporto ridotto di questa vitamina (4,7 µg/giorno contro 7,1 µg/giorno del gruppo MEAT), con una conseguente diminuzione dell'8% della concentrazione di olotranscobalamina (holoTC), il marcatore più sensibile dello stato della vitamina B12.

Sebbene l'apporto medio sia rimasto al di sopra del livello di adeguatezza (4 µg/giorno secondo le raccomandazioni europee), otto partecipanti del gruppo LEGUME (16%) hanno sviluppato valori di holoTC inferiori alla soglia di marginalità (50 pmol/L). Questo dato sottolinea l'importanza di monitorare lo stato della vitamina B12 quando si riducono significativamente gli alimenti di origine animale, soprattutto in popolazioni vulnerabili o nel lungo periodo.

Iodio: status ridotto ma intake adeguato

Per quanto riguarda lo iodio, non sono emerse differenze significative nell'apporto dietetico tra i due gruppi (circa 245 µg/giorno in entrambi), ma l'escrezione urinaria di iodio nelle 24 ore era significativamente più bassa nel gruppo LEGUME. Nonostante questo, l'escrezione media è rimasta sopra la soglia di adeguatezza (100 µg/giorno).

In Finlandia, l'uso diffuso di sale iodato nell'industria alimentare e nella ristorazione contribuisce a mantenere apporti adeguati di iodio anche con diete a ridotto contenuto di prodotti animali. Tuttavia, questo dato suggerisce che in contesti dove il sale iodato non è così diffuso, la riduzione della carne potrebbe richiedere una maggiore attenzione alle fonti alternative di iodio.

Ferro: aumento dell'intake senza compromettere lo status

L'apporto di ferro è aumentato significativamente nel gruppo LEGUME (21 mg/giorno contro 14 mg/giorno nel gruppo MEAT), principalmente per l'incremento del ferro di origine vegetale. Nonostante il ferro non-eme abbia una biodisponibilità inferiore rispetto al ferro eme presente nella carne, i marcatori dello stato del ferro (ferritina, recettore della transferrina, emoglobina) non sono variati tra i gruppi dopo le sei settimane.

Questo risultato suggerisce che, almeno nel breve termine, un apporto adeguato di ferro vegetale, insieme alla presenza di piccole quantità di carne (200 g/settimana) e di vitamina C (che ne facilita l'assorbimento), può mantenere uno status marziale adeguato. Il rapporto tra ferro vegetale e animale era di 7,5:1 nel gruppo LEGUME, contro 3:1 nel gruppo MEAT.

Marcatori metabolici: nessun impatto sulla glicemia

Lo studio non ha rilevato differenze significative nei biomarcatori del rischio di diabete di tipo 2, come glicemia a digiuno, insulina, peptide C e indici HOMA-IR e HOMA-B. Questo era in parte atteso, considerando che i partecipanti erano individui sani e non obesi. Studi precedenti hanno mostrato che i benefici dei legumi sul controllo glicemico emergono principalmente in soggetti con diabete di tipo 2 conclamato.

Compliance e sostenibilità della dieta

Un aspetto importante da sottolineare è l'eccellente aderenza dei partecipanti al protocollo: la percentuale di alimenti forniti ma non consumati è stata minima (1-2%), e la quota di proteine derivanti da legumi e carne nei rispettivi gruppi rispecchiava fedelmente il disegno dello studio. Questo dato suggerisce che una dieta con una moderata sostituzione della carne con legumi è percepita come accettabile e sostenibile, almeno nel breve periodo.

Limiti e considerazioni metodologiche

Come ogni studio, anche questo presenta alcuni limiti. Il campione era composto da uomini altamente istruiti e probabilmente più attenti alla salute rispetto alla popolazione generale, come evidenziato dall'apporto di fibre al basale già superiore alla media nazionale. Inoltre, la durata limitata (sei settimane) non permette di valutare gli effetti a lungo termine, soprattutto per quanto riguarda lo stato di vitamina B12 e ferro.

Infine, alcuni cambiamenti osservati potrebbero essere stati influenzati da modifiche spontanee della dieta abituale: entrambi i gruppi hanno ridotto il consumo di latticini di oltre il 10% durante lo studio, il che potrebbe aver contribuito ai cambiamenti nell'apporto di micronutrienti.

Implicazioni pratiche: verso diete più sostenibili

I risultati di questo studio suggeriscono che una riduzione moderata della carne rossa, portandola al limite massimo della Planetary Health Diet (circa 200 g/settimana), accompagnata da un aumento del consumo di legumi non-soia, può produrre benefici cardiovascolari significativi senza compromettere l'adequatezza nutrizionale nel breve termine.

Tuttavia, è fondamentale prestare attenzione ai micronutrienti critici, in particolare vitamina B12 e iodio, soprattutto se si prevede un cambiamento alimentare duraturo o in popolazioni vulnerabili. L'integrazione con alimenti fortificati o supplementi potrebbe essere necessaria per garantire apporti ottimali.

Per chi lavora nella consulenza nutrizionale, questi dati supportano la raccomandazione di aumentare il consumo di legumi come strategia efficace per migliorare la qualità della dieta e ridurre il rischio cardiovascolare, pur mantenendo una certa flessibilità nell'inclusione di piccole quantità di prodotti animali per facilitare il raggiungimento dei fabbisogni di alcuni nutrienti.

 

Link all'articolo: https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC12364987/ 

 

Per approfondire: Transizione verso un'alimentazione vegetariana e vegana (seminario online)

https://scuolanutrizionesalernitana.it/seminari/transizione-verso-unalimentazione-vegetariana-e-vegana